

PROEMIO: MORTE DI SEMELE
A Tebe viveva una fanciulla chiamata Semele la cui bellezza era tale che Zeus se ne innamorò perdutamente. Tra il dio e la mortale divampò così la passione il cui frutto presto comparve nel grembo della ragazza. Era, consorte di Zeus, furibonda per l’umiliazione patita, decise di vendicarsi. Assunte le sembianze della sua vecchia nutrice si presentò a Semele e con astute parole la convinse a esigere dall’amante che le si mostrasse nel suo vero aspetto. Giacché nessun mortale può sopravvivere alla vista di un dio, la ragazza ne sarebbe certamente morta e con essa il suo bambino non ancora nato. L’inganno si compì. L’accecante visione del re dell’olimpo, avvolto in una nube di fuoco e circondato di lampi e saette uccise Semele.
Vendetta era fatta, ma non del tutto. Il bambino era ancora vivo. Zeus, allora, lo estrasse dal corpo della madre e lo cucì a sé fino a quando venne al mondo per la seconda volta.
L’AMORE DI ZEUS PER DIONISO
Zeus:
<<Ermes, prendi con te, il figlio mio
che sia nascosto al sicuro e…
possa sfuggir all’odio che
la sua vita reclamerà
che possa crescer lieto
lui che tra fiamme e lampi
il grembo abbandonò
e tristezza e sofferenza
siano estranee a lui
che tanto già patì
le ninfe per lui intonino
le loro nenie soavi e
adornino i riccioli
che la sua testa ricoprono
che i satiri e le belve
allietino i suoi giochi
e lo proteggano
e porgendogli l’alloro
ci si rivolga a lui col nome Dioniso.>>
Recitato I
<<.. L’Ira di Era, l’ira di Era…l’ira di Era No la morte tra le fiamme di Semele non poteva bastare. Il suo bambino, frutto dell’adulterio consumato da Zeus, era sopravvissuto. Anche lui sarebbe dovuto morire. Sciagurati furono Ino e Atamante che, per proteggerlo, osarono sfidare l’ira della regina degli dèi e per questo pagarono con la loro vita.
Giacché nulla sfugge allo sguardo dell’odio, Zeus tramutò il bambino in un capretto affinché fosse nascosto nelle valli e nei boschi del monte Pelio sotto la protezione del centauro Chirone. Numerose trascorsero le stagioni ed Era dovette accettare la sopravvivenza del bambino. La sua ira, tuttavia, non si era placata e divenne un dono per il bastardo figlio di Zeus. Un dono a cui non sarebbe stato possibile opporre rifiuto.
IL DONO DI ERA
Era:
<<Vivo vedo tu sei a nulla valse il mio volere
e sia lo accetterò ma vi è un dono
che oggi da me tu riceverai
prendi il mio regalo è la follia dei disperati
mai più tu rivedrai il fresco cielo che al mattino, saluta
chi in pace è
che tu sia servo del delirio e mai il senno torni in te.
dovrai vagare senza meta sollievo ignorerai
solo, tu non sarai, avrai per sposa il mio odio,
ora vattene via e ad ogni passo ricorda sempre, il torto
che fu fatto a me
sia tua la vita del reietto e mai speranza nasca in te
sarà un infido nemico chiunque incontrerai;>>
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Recitato II
Di chi sono queste voci che sussurrano al tuo orecchio parole terribili e insensate? Forse di quello sconosciuto che hai incontrato poco fa. No? Gli hai mozzato la testa ma le voci continuano a parlarti. E a chi appartengono gli artigli che conficcati in profondità nel tuo petto ti impediscono di respirare? Guardati intorno, sei solo, eppure qualcosa ti tiene prigioniero. Ti nascondi, corri, scappi ma catene invise e corrose ti avvolgono sempre più strette. Ti muovi a tentoni, le tue mani tremanti si poggiano sui tronchi ricoperti di resine venefiche e rocce lordate dalle arpie e quando incontrano altre mani, se ne ritraggono terrorizzate, riconoscendo in esse il marchio del nemico immaginario.
DOLCE SUCCO
(Voce Narrante)
Dono malvagio che ti tormenta alla tua vita ruba il piacere
I tuoi pensieri sono prigione ogni respiro è una minaccia
cresce dentro di te l’angoscia, compagnia tua è la paura
la calda luce è una nemica cerchi il riparo di grandi fronde
vedi qualcosa sopra il tuo capo pare un frutto fatto di perle
ne prendi una e lo assaggi il suo sapore è la gioia
forte lo stringi ne sgorga un succo il cui sapore diventa aspro
tanto ne bevi e ad ogni sorso torna la vita dentro il tuo cuore
ridi e più non hai paura, tutto è confuso e tu canti
dolce succo, il tuo nome sia vino;
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Recitato III
Benedetta sia questa nebbia che offusca la tua vista. Se tu non puoi vedere il tuo invisibile aguzzino lui non può vedere te. Incespichi, cadi, ti rialzi e nuovamente cadi. Le tue membra sono pesanti ma il tuo cuore è leggero. Cosa tormentava i tuoi pensieri? Non ricordi più… La rossa medicina sgorgata dal frutto della vite ha curato i tuoi affanni e ora saluti la guarigione con canti sguaiati e barcollanti passi di danza. Il tuo tripudio riecheggia per boschi e vallate, lungo i corsi dei fiumi e dentro anfratti rocciosi. Giunge a orecchie assopite e ad altre in trepidante attesa. Guarda! Richiamata dal tuo delirio, una folla bizzarra si è radunata intorno a te. Vi sono satiri, plebei, prostitute, ninfe, guerrieri, poeti. Fai di loro la tua coorte e diffondi ovunque il dono prezioso del frutto della vite affinché ogni uomo possa essere liberato dall’angoscia e dalla sofferenza.
ORIENTE
(Voce Narrante)
Dioniso e i folli
vanno a est, a est,
Risate, canti e grida li accompagnano,
Piramidi e templi presto annunciano
L’Egitto che dai titani oppresso è
Qui la lotta divampa e i titani arroganti
dai folli sono massacrati
E riprende il cammino, verso i grandi fiumi,
Dove si trama già, l’inganno che li accoglierà
Dei ponti d’edera e di fiori appaiono
I folli in parata li attraversano
Ecco che appare l’India, Misteriosa e suadente
Gli anni vivono qui, i giorni bagnati dal vino
Finché giunge il momento, di tornare a casa
Dove tutto iniziò e tutto accadere dovrà
​
Recitato IV
L’esser figlio di Zeus ti rende differente dagli altri uomini ma non fa di te un immortale. La polvere del lungo viaggio che ti ricopre è intrisa di sangue e odio. La follia alla quale ti condannò Era ancora corrode il tuo animo. Il vino la stordisce ma non può spezzarne la presa.
Soltanto con l’intervento di Rea, madre di tuo padre, ciò potrà avvenire. Officiando i riti dei quali a nessuno è dato parlare, lei ti purificherà dei tuoi delitti e renderà immortale la tua esistenza. Solo allora potrai finalmente tornare li dove nascesti, a Tebe, per onorare tua madre ed esservi acclamato Dio.
METAMORFOSI
Il Guardiano:
<<Entra, Rea ti attende.
Nella sua grotta attende te.
Lì, ti mostrerà, l'abisso
in cui cadrai, in cui cadrai>>
gg
Era:
<<Notte che sonno non dà, tienilo avvinto a te
E in questa grotta vi sia, l’intero mondo per lui
Fuoco che ardi fai si, tutto sia chiaro affinché,
I suoi delitti così, vedrà…
Strage che nome non ha cheta il rancore che è in lui
Eco di quello che fu, risuona ora o mai più
Dolce e feroce follia, lascia si privi di te
E nuova vita così, avrà…>>
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Recitato V
Tebe, un tempo lieta, oggi affranta e impaurita. Sciagurato fu il giorno in cui Penteo divenne re e l’ombra cupa della tirannide calò sul tuo popolo. Come un padrone con i suoi schiavi, egli esige dai tebani cieca ubbidienza e, non pago di ciò, impone loro d’esserne felici e grati. Qualcosa di strano, tuttavia, sta avvenendo. Dai confini del regno giungono voci inquietanti su di un’orda di stranieri con a capo un giovane dai capelli color viola che, praticando dei riti selvaggi, semina il caos ovunque vada.
C'è chi giura addirittura di aver visto facce forestiere aggirarsi, nottetempo, per i vicoli di Tebe. Pare che, con il favore delle tenebre, vaghino di strada in strada gridando parole inaudite su di un arrivo imminente.
LA MARCIA DEGLI SCHIAVI
Lo Schiavo:
<<Giunta è l’ora del tramonto e alle case io ritorno
Si conclude un altro giorno di fatica e di dolore,
Sono un suddito tebano e Penteo è il mio re
Obbedisco ai suoi comandi, ferrea legge è il suo volere,
Non abbiamo alcun pensiero né ci è dato il pensare
Solo ordini gridati dalle voci di scherani,
Stessi ordini brutali che alle donne grideremo
Una volta giunti a casa dentro cui le abbiamo schiave,
Ma è tempo di dormire e la notte io ringrazio
Che nel buio mii nasconde allo sguardo del tiranno
Nessun altro privilegio a un suddito è concesso
Che il dormire senza sogni nelle ore senza sole.>>
Penteo:
<< Dormite, Tebani, dormite…
Veglio io su di voi,
Mi avete offerto i vostri sogni
Perché vi dessi resilienza…
E allora dormite…dormite...dormite…>>
L’ANNUNCIO
L'Ubriacone:
<<Cittadini e sudditi, Non chiudete gli occhi ché
Presto un Dio giungerà per destare la città,
Gli ubriaconi come noi con dolcezza tratterà
E a chi lo accoglierà lieta ebrezza donerà,
Nell’oblio lui ci condurrà,
Colmo è il calice per noi.>>
Penteo:
<<Chi è stato? chi ha parlato?
Chi ha parlato? chi ha osato?
Voglio che mi sia portata la sua testa
Io esigo che mi sia portata la sua testa
Io sono il re è questa è la mia città
Questa è la mia città dico io chi vi entrerà
Nessun Dio…io conosco
Annunciato…da bastardi
E se anche…esistesse
Poca cosa…lui sarebbe>>
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Recitato VI
In molti sorgono inquietudini e timori. In altri, invece, si accendono inconfessabili speranze. Trascorrono le ore di buio fino a che, con i primi bagliori del nuovo giorno, qualcosa accade. Uno strano rumore giunge da oltre le mura della città. È appena udibile ma istante dopo istante si fa più forte fino a diventare chiaramente urla, canti e risate. Le sentinelle dalle torri di guardia danno l’allarme. Una spaventosa armata di folli marcia spedita in direzione di Tebe. Il rumore si fa presto assordante e il terrore si diffonde nelle strade. Chi può si nasconde. Molti si radunano nei pressi del palazzo reale alla ricerca di protezione. Alcuni, sorridenti, attendono con lo sguardo rivolto all’ingresso della città.
D’un tratto il rumore si cheta e sulla città cala il silenzio. Le persone si guardano intorno smarrite. È stato forse un sogno? Uno scherzo degli dèi? Il pericolo sembra svanito ma quando fra i tebani si diffonde il sollievo uno squillo di trombe fende l’aria e subito dopo, spinta da una forza invisibile, la porta cittadina si spalanca. L’armata dei folli fa così il suo ingresso a Tebe.
LA MARCIA DIONISIACA
(Voce Narrante)
Fauni, belve, ninfe e plebei
Ecco che entra il corteo del Dio
Donne ebbre, satiri festanti
Cantano in coro inni all'oblio
Spunta la vite, dal fango e dal cemento
Grappoli d’uva, Ricoprono palazzi e templi
sulla gran piazza Si inizia una festa
Servono il vino vecchie megere scurrili che sputano.
Madri, mogli, figlie e sorelle
Escono urlanti dalle loro case
Sguardi in fiamme, voci disperate
Strade e piazze ne sono già invase.
I sacerdoti si chiudono a palazzo
Orde di bimbi li assediano con fionde e pietre
Centocinquanta la gallina canta
Tace la frusta e le preghiere risate diventano ormai.
QUI NELLA MIA CELLA
Il Prigioniero:
<< Qui, nella mia cella giunge il clamore della città
Oggi il Dio ritorna alla sua casa alla sua Tebe
Ubriacone vieni alla mia grata
E racconta quello che tu vedi
È un’illusione o vera gioia
L’estasi che dicono lui dona? >>
L'Ubriacone:
<< Con difficoltà io mi tengo su
Ma di gioia ora potrei saltar;
Vedo intorno a me i tebani che
Stupefatti iniziano a vivere;
Timide e feroci s’alzano le grida di furore e gioia
rivolte al Dio;
Dolce il vino che ha portato a me
Mi confonde e rende più vivo che mai
So che ne berrò fino a che potrò
Fino a che ogni cosa offuscata sarà
Liquido divino che trabocca e macchia di colori lieti la vita mia che
Libera, fervida scorre
Libera, fervida, giovane vibra in me
Il Prigioniero:
<<Ciò è quel che dà tanto ho aspettato e ora è qui
Vedo che le pareti della mia cella si sfaldano
E le sbarre che io stesso ho messo
Affinché la vita non entrasse
Son ridotte in polvere dal vento
Non esiste più la mia prigione>>
L'Ubriacone:
<<Oggi danzerai con le belve che il terrore cieco infondevano in te
Possa la follia che rinasce in noi celebrare il Dio che a casa tornò>>
Possano gli otri essere ricolme del suo dolce vino
Possa nel delirio esservi la pace per i tanti oppressi
Che si nascondono, piangono, ridono, oggi
Cantino, cantino, cantino, viva il dio…dell’oblio>>
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Recitato VII
Nessuno potrà mai dimenticare questa giornata. Con l’arrivo dei forestieri la follia si è impossessata dei tebani. Risate e oscenità, danze selvagge e vesti lacere. Niente di simile si era mai visto prima. Le strade travolte da inarrestabili onde di gioia, ovunque si formavano folle promiscue e festanti. Tra loro si aggirava con volto sorridente il ragazzo che dicono sia a capo dell’orda. A chiunque incontrasse versava del vino da un otre senza fondo.
Gli scherani incaricati di ristabilire l’ordine nulla hanno potuto e, anzi, molti di loro si sono uniti ai festanti.
Adesso è notte e ai bordi delle strade molti tebani dormono il sonno del vino e della festa. Altri, senza portare nulla con sé, si mettono in cammino verso i monti boscosi in cui l’orda è accampata. Non torneranno mai più.
STANOTTE NON TORNERÒ A CASA
Il Prigioniero:
<<Stanotte non tornerò a casa
Nel buio mi incamminerò
Per meta avrò quei bagliori
Che sui monti appaiono
Si odono canti lontani
Che invocano la libertà
Tamburi risuonano gravi
Giorni nuovi annunciano>>
Coro:
<<Non sei il solo in cammino, brulica lieta la via>>
Il Prigioniero:
Stanotte non tornerò a casa
E forse mai più lo farò
Le porte son state divelte
E il tiranno nulla può
Coro:
<<Mai più ci avrà la paura, ebbri si danzerà
che sia versato il vino, ogni bocca ne avrà>>
Recitato VIII
Il grande palazzo reale appare piccolo e indifeso. Le sue mura imponenti ricordano foglie tremanti per il vento. Rintanato nelle sue stanze, Penteo, sovrano di Tebe, rimugina incredulo su quanto sta avvenendo.
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PENTEO E LO STRANIERO
Penteo:
<<Tutto sembra sovvertito con l'arrivo del bastardo
Si abbandonano all'ebbrezza Bimbi, schiavi e soldati
Voci giungono di riti celebranti la follia
In cui donne e fanciulle si tramutano in belve
Il bastardo e i suoi seguaci devo presto smascherare
E scoprire dei tebani chi ai riti prende parte.>>
Gli Scherani del Re:
<<Penteo, abbiam preso un ubriacone
Che fa parte dell’esercito dei folli
È un balordo dai capelli color viola
Impazienti siamo noi di seviziarlo>>
Penteo:
<<Fortunata circostanza questa è
Per adesso non torcetegli un capello
C’è una cosa che per me lui dovrà fare
Solo dopo vi potrete divertire.>>
Recitato IX
Uno di fronte all'altro, il re e lo straniero si osservano in silenzio. Penteo, traboccante d’odio, vorrebbe mettere mano alla spada e tagliarli la testa. Ma non può. Non ancora almeno. Con voce incrinata dalla rabbia, gli ordina di condurlo lì dove dicono si svolgono i riti bestiali di cui ha sentito parlare. Vuole vedere con i propri occhi chi dei suoi sudditi vi prende parte.
" Come tu desideri o potente sovrano" gli risponde lo straniero con una strana espressione sorridente sul viso. “Ti porterò lì. Ai margini di quel luogo vi è un grande albero. Nascosto dietro il suo tronco potrai osservare tutto. Ma fa attenzione che nessuno veda te…”
Penteo lo straniero si mettono in cammino e, quando ormai è calata la notte, giungono a destinazione. “buona visione Penteo” esclama il ragazzo prima di scomparire inspiegabilmente.
ACCIECA I TUOI OCCHI
Il coro delle Baccanti:
<<Accieca i tuoi occhi se vuoi vedere
Perdi te stesso nell’otre di vino
Annega il tuo cuore se vuoi ricordare
Dividi il piacere prepara il cammino
Agita il tirso, straccia le vesti
Bevi il suo miele, richiama la vita
Attorno alla maschera batti il tuo passo
Batti il tuo passo, prepara il cammino
Prepara il cammino, prepara il cammino,
Prepara il cammino.>>
Voce Narrante:
Fremono lieti, i nudi corpi,
Da questa danza sgorghi la gioia
Il coro delle Baccanti:
<<Quello che l’uomo non sa,
La terra lo sa,
Muoio e rinasco perché
Ora il dio è con me.>>
Penteo:
<< Ma quella…quella è mia madre
Con lei c’è mia sorella!
Mi han visto, vengono qui
Che fate? che fate?
No, no, no! >>.
F I N E
Testi e musiche di Michele Demontis eccetto “Acceca i tuoi occhi”, Alessandro Dettori.
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